Jackson Pollock è il più emblematico dell’Action Painting, la corrente che rappresenta il contributo americano all’informale. La sua breve vita è segnata da eventi drammatici che ripropongono il prototipo dell’artista maledetto, tipico del panorama artistico europeo di fine Ottocento, e che nella cultura americana era stato incarnato maggiormente da divi cinematografici. Svolge un apprendistato artistico irregolare frequentando varie accademie e scuole d’arte applicata. All’età di 25 anni, per gravi problemi di alcolismo, si sottopone a diverse sedute psicanalitiche. Viene così a conoscenza del mondo della psicologia, scoprendo le dimensioni dell’inconscio e dell’irrazionalità, che determineranno la svolta decisiva verso l’arte informale.
Non dipinge tradizionalmente con il cavalletto , ma per terra o al muro in maniera dinamica , mediante la tecnica del Dripping (tecnica del «dripping» consistente nel far gocciolare il colore su una tela posta in orizzontale o Action Painting pittura d’azione) legata al puro gesto che porta il segno verso un linguaggio astratto e non figurativo . Le opere così realizzate si presentano come un caotico intreccio di linee e macchie colorate, con una totale assenza di organizzazione razionale.
Jackson Pollock mentre realizza un action painting |
“Non dipingo sul cavalletto. Preferisco fissare le tele sul muro o sul pavimento. Ho bisogno dell'opposizione che mi dà una superficie dura. Sul pavimento mi trovo più a mio agio. Mi sento più vicino al dipinto, quasi come fossi parte di lui, perché in questo modo posso camminarci attorno, lavorarci da tutti e quattro i lati ed essere letteralmente "dentro" al dipinto. Questo modo di procedere è simile a quello dei "Sand painters" Indiani dell'ovest ”
“Continuo ad allontanarmi dai tradizionali strumenti del pittore come cavalletto, tavolozza, pennelli ecc. Preferisco bastoncini, cazzuole, coltelli e lasciar colare il colore oppure un impasto fatto anche con sabbia, frammenti di vetro o altri materiali.”
“Quando sono "dentro" i miei quadri, non sono pienamente consapevole di quello che sto facendo. Solo dopo un momento di "presa di coscienza" mi rendo conto di quello che ho realizzato. Non ho paura di fare cambiamenti, di rovinare l'immagine e così via, perché il dipinto vive di vita propria. Io cerco di farla uscire. È solo quando mi capita di perdere il contatto con il dipinto che il risultato è confuso e scadente. Altrimenti c'è una pura armonia, un semplice scambio di dare ed avere e il quadro riesce bene.”
Francesca Sigilli
(Storico d'Arte)
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